venerdì 1 maggio 1992

Breve Storia Paratattica [ o dell’esterno che ci influenza ]

 Solo, su una spiaggia gialla di sabbia grezza, davanti il mare, a sinistra una cattedrale gotica abbandonata di marmo bianco, cascate di edera e vite americana rossa sulla facciata. Vestito con jeans chiari, Chester grigio chiaro, scarpe da basket bianche; Un maglione nero buttato sulla destra. Una boccia di Martini Bianco tra le mani, le mani poggiate sulle ginocchia, le gambe incrociate. Fissa il mare lievemente agitato dall’altra parte dei Way-Farer neri. Il vento spettina i suoi capelli biondi appena un po’ lunghi. E’ un’assolata mattina d’inverno. In alto strisce di nuvole bianche si alternano a fasce di cielo azzurro pallido. Il sole è alto e annoiato sopra le sue spalle leggermente  curvate. Pensa che non ha più sigarette ma è meglio così, vuole godersi in pieno questo momento, non beve nemmeno il Martini: i due sorsi che ha in corpo gli bastano. In lontananza pescherecci e barche a vela; nemmeno un gabbiano. Non ha assolutamente niente da fare per le prossime tre ore e si gode il sole sulle spalle.
     Si alza, raccoglie il maglione con la sinistra senza scrollarlo e si avvia verso la cattedrale. Entra. E’ caldo dentro. Il tempo non scorre. Il pavimento è sporco di sabbia bianca che scricchiola sotto i suoi piedi amplificata dallo spazio vuoto. Da un ultimo sorso alla boccia che poggia su un inginocchiatoio. Percorre lentamente le navate girando su se stesso per impossessarsi meglio degli spazi. Pensa: tornerò con una telecamera e un paio di amici per catturare l’anima del posto. “Oggi è un buon giorno per morire”. No, meglio “la vita è breve, l’uomo è cacciatore e saremo per troppo tempo morti”. Ecco, sì, e questa è la mia “magnifica preda”, “credevi di cacciare, ma adesso la preda sei tu”. Se è così mi arrendo: “il segno di una resa invincibile”. Il transetto. Tripla giravolta lenta per godersi tutta la basilica -vedo tutto il mondo da Foligno-. Il pulpito. Sale i gradini lentamente, uno alla volta con gli occhi fissi sul gradino superiore per non rovinarsi l’impatto di una visione d’insieme dalla vetta. 5.000 occhi di pietra che non vedevano un uomo da decenni lo fissano, lo giudicano, lo temano: lui ha il potere di annientarli con un semplice fischio. Non fischierà. Il vero vincitore si conosce dalla magnanimità verso i vinti. Li rispetta. Si sente orgoglioso di tanta importanza, felice ma anche un attimo indegno. Fa niente. Se così vogliono loro starà al gioco, non farà nulla di oltraggioso. Non è un finto ateo; non è costretto a bestemmiare da una libertà dogmatica. E’ veramente libero e libertario. Riconosce e apprezza il bello, se c’è, anche in un’opera del Ventennio.
     Un’ombra sulla porta. Passi ritmati di anfibi neri, decisi di chi non osserva, decisi di chi è insicuro. Non si nasconde (ha gli occhi dalla sua). E’ notato. Gli anfibi si fermano, si atteggiano, proseguono, lo guardano con aria di sfida. “E’ tua la duetto nera parcheggiata qui fuori?” L’incantesimo è rotto. I 5.000 occhi non vedono più nessuno. “E’ mia”. “Allora Tizio ti manda a dire se puoi andare adesso”. “andiamo. Stai a piedi?” Ovviamente sta a piedi: non ha l’età per la patente, i soldi per la moto, il look per il motorino. “Ti do uno strappo, prendi la boccia.” “Martini, robba da froci.” - Sentenze, robba da stronzi -.
     Fuori. Il vento è cessato, il mare è calmo, la pace, poco a poco, lascia il posto all’euforia. Infila il maglione, accende la macchina, “C’hai una sigaretta?”. La radio sentenzia “Born to be wild” . 
Amen.